domenica 3 aprile 2011

Metti una sera a Roma: una conversazione notturna sul delitto dell'Olgiata

Villa del Delitto all'Olgiata (Roma)


Amo Roma. Ci torno ogni volta che posso. Mi sembra che nessuno possa essere infelice a Roma. Quando la sera  mi sposto in autobus e con lo sguardo vago sui palazzi cerco di immaginare cosa accade  in quegli appartamenti. Mi piacerebbe entrare in quelle case. Sapere cosa fanno. Curiosare la loro vita. La sensazione è sempre quella di un grande armonia. Qualunque problema possano avere… beh, comunque vivono a Roma. Sulla metropolitana scorgo sovente un certo tipo di persona: giacca e cravatta e l’immancabile borsa di cuoio. Un ragioniere, presumo ogni qual volta. Me lo figuro in qualche ufficio male illuminato del centro, chino sui suoi conti. Eppure, mi dico, quando esce magari si ritrova in Piazza san Silvestro, e da lì si sposta su via del Corso, ha di fronte la colonna aureliana. Qualunque sia stata la sua incazzatura sul lavoro, poi però, ogni sera ha questo bellissimo abbraccio con Roma.
Mi rendo conto che le mie sono sensazioni fallaci. So benissimo che quella gente non è al colmo della felicità. Però una cosa è essere tristi in qualsiasi altra città, una cosa è esserlo a Roma. Così mi ripeto. So di sbagliarmi ma la sensazione è troppo gradevole e lascio che abbia il sopravvento sul senso critico.


Comunque, ho la fortuna di essere ospitato da mio cugino Raffaele. Lui e la moglie Anna sono persone alle quali sono molto affezionato. E molto grato, anche. Non mi offrono solo un letto in una bella stanza tutta mia, ma anche delle ottime cene. Anna è una cuoca perfetta. Con Raffaele qualche volta ce ne andiamo a prendere un caffè in Piazza Venezia, mi piace starmene seduto a guardare l’Altare della Patria. Un monumento molto criticato da Giordano. Per lui il Mausoleo è brutto ma pensa anche che oramai è ben armonizzato nel contesto architettonico della città. È brutto ma non ne farebbe a meno. Invece per me è bello. Mi ricorda il senso di meraviglia che mi fece la prima volta che lo vidi. Ero un bambino, appassionato di storia romana. Quell’immenso edificio bianco mi sembrò un grande tempio dell’antica Roma.  Ecco, ecco cosa è Roma per me ogni volta che ci vado, un ritorno all’infanzia. Sono un bambino a Roma. E Roma è come una mamma per me.
Giordano… il mio amico di infanzia. Il mio amico di sempre. Un uomo di una intelligenza rara, di una cultura sterminata. Un poeta, uno scrittore. Uno al quale ho insegnato a giocare a scacchi. Non vinceva una partita. Poi da un momento all’altro è cresciuto, è diventato un giocatore scaltro. Ora è imbattibile per me.
La sera di giovedì 31 marzo, eravamo a cena da sua sorella Graziella. Ancora una volta quella sensazione, Graziella abita con la figlia, la crisi  l’ha prostrata. Ma io riesco a percepire solo la piacevolezza del suo essere a Roma. Il suo sarà anche un appartamento ordinario ma è immerso in questo grande parco architettonico che si chiama Roma, in questa città di una storia unica e irripetibile.
La serata è gradevole. Si chiacchiera del più e del meno. Si rimembrano i bei tempi che furono. Poi riaccompagno Giordano a casa.
Mi dice che segue il mio blog. Mi chiede cosa ne penso del delitto dell’Olgiata. Rispondo in una maniera che lo sorprende. Lo sorprende negativamente. E ha ragione.
La traccia del Dna che ha portato all’incriminazione del Filippino Manuel Winston Reves era una notizia di  appena un paio di giorni. Dissi a Giordano che se il filippino era veramente  colpevole, avrebbe confessato, perché davanti a una prova così schiacciante non poteva fare altro. Però, e qui provocai il suo risentimento, credevo poco alla verità su quella traccia. Insomma, insinuai che fosse stata costruita da arte. Gli dissi che mi sembrava strano che dopo via Poma un altro delitto misterioso fosse stato risolto con la prova del DNA. Non riuscivo a capire come Winston aveva perso solo una singola, minuscola, microscopica macchia i sangue. Giordano mi bloccò dicendomi che stavo inquinando il ragionamento partendo da un presupposto del tutto arbitrario e privo di fondamento. Non potevo rispondere ipotizzando acriticamente che la polizia giudiziaria stava barando.
Aveva ragione. Mi chiese qual era la mia tesi per arrivare a una simile conclusione. Risposi che non riuscivo a piazzare Winston sulla scena del crimine. Non avevo mai creduto che a uccidere fosse un ladro. L’Olgiata è una piazzaforte, non si può entrare senza essere visti in qualche modo. Per me l’assassino era da cercare nelle persone presenti quella mattina nella villa. Per me l’assassino doveva essere una donna. Un ragionamento che i fatti hanno dimostrato errato. Ma forse la dinamica da me ricostruita non era sbagliata.


RICOSTRUZIONE PERSONALE DELL'OMICIDIO
La contessa Alberiga Filo Della Torre venne uccisa la mattina del 10 luglio 1991. Secondo il medico legale, la donna venne colpita alla volto da uno zoccolo di legno da lei stesso indossato. Quindi vi fu un tentativo di strangolamento tramite un lenzuolo e infine lo strozzamento con due dita della mano. Al momento dell’aggressione la contessa era in pigiama, un pantaloncino corto.
Dunque, quando la donna è stata aggredita era in abiti intimi. Siccome mi sembrava certo che la contessa conoscesse il suo assassino, ho pensato che non avrebbe ricevuto un uomo in quella tenuta ma solo una donna. Le due dovevano aver avuto un alterco. Dopodiché la contessa l’aveva licenziata bruscamente invitandola a uscire. Quindi si era girata per recarsi a letto, aveva tolto gli zoccoli per sdraiarsi ma si era accorta che la sua interlocutrice non era uscita dalla stanza, anzi l’aveva seguita. Così si era rigirata. Nel giro di pochi momenti il suo aggressore prende lo zoccolo da terra, glielo sbatte sul viso con violenza tramortendola, però non l’uccide. A quel punto è presa dal panico. Teme di venire denunciata. La contessa è una donna potente, per lei non c’è scampo. Quindi non ha altra alternativa che ucciderla. Ci prova dapprima con un lenzuolo (lo stesso che verrà trovato al collo della donna e sul quale verrà rinvenuto il DNA di Winston). Forse la donna riprende conoscenza, ma è sopraffatta, non può reagire. La sua assassina non riesce a finirla con il lenzuolo e allora prova a strozzarla.  Quando è tutto finito, cancella le tracce come meglio può. Afferra dei gioielli per simulare una rapina andata male, chiude, si porta via la chiave e cerca di occultare gli oggetti.
La debolezza di questa ricostruzione l’avevo individuata da solo. Se l’assassino era all’interno della casa che fine hanno fatto la chiave e i gioielli? Dovevano essere ritrovati nell’abitazione. Però, per me erano punti forti due presupposti: la contessa conosceva l’assassino, l’assassino conosceva la casa.
Winston racconterà come sono andate le cose. Come ha fatto a entrare, cosa cercava. Possibile che Alberica l’abbia visto, non abbia urlato, non l’abbia cacciato di casa ma si sia messa a parlare con lui? O forse Winston era entrato non per andare nella stanza della contessa, bensì in altre camere? Poi ha visto che Alberica usciva e si è infilato nella stanza. Forse per rubare. Ma è tornata prima che Winston potesse uscire. A questo punto il filippino si è trovato perduto, perché è rimasto chiuso nella stanza con la contessa. Allora, forse ha cercato di sopraffarla senza farsi vedere avanzando quatto dietro di lei. Non con l’intenzione di ucciderla ma solo renderla inoffensiva. Ma lei sente una presenza, si gira, allora lui rapido afferra lo zoccolo e lo usa. Ormai lo ha visto, e le conseguenze sono fatali per la donna.
Ma vista così poteva essere Winston come qualunque altro. Invece per me, la contessa ha girato le spalle al proprio assassino dopo averci parlato. Convinto di questo ho supposto una donna. Perché Alerica, ripeto, era in short.
Ecco perché non riuscivo a collocare Winston sulla scena del crimine, perché per me in quella stanza c'era una persona conosciuta dalla contessa.
Giordano, assoggettando il ragionamento, mi ha chiesto se Winston poteva essere presente perché "intimo" di Alberica. Insomma, se poteva essere un amante. L'ho escluso. Non c'è nulla che confermi una simile ipotesi.
Forse Winston quando ha parlato con la contessa, questa indossava la vestaglia. Nello girarsi, ha dato per scontato che i  filippino fosse uscito. Invece lui è rimasto rancoroso e vendicativo. Alberica si toglie la vestaglia, gli zoccoli, nel campo visivo dell'assassino gli zoccoli sono la prima cosa che vede e la utilizza come arma.
Insomma, la dinamica per me è questa. Solo che non si trattava di una donna.
Rimane da capire cosa ci faceva Winston nella villa. Voleva parlare con la contessa? E questa vedendolo in casa non avrebbe avuto nessuna reazione? Difficile crederlo,
Però, non avevo sbagliato del tutto considerando che un perfetto estraneo non poteva accedere nella villa. Winston, se ho ben capito, lavorava nel comprensorio dell’Olgiata, quindi poteva avere accesso alla villa.  Come ha fatto a entrare senza essere visto è una cosa che va chiarita.
Ho scritto queste righe di fretta. Di ritorno da Roma. Non so quali novità ci siano sul caso, tranne che Winston ha confessato. Ma ignoro, al momento, la sua ricostruzione della dinamica omicidiaria.
Il filippino era stato però già stato messo sotto inchiesta nel 1991. Cosa non ha funzionato? Perché non è stato incastrato allora?
Sento il dovere di chiedere scusa per aver dubitato ai Carabinieri del Ris. Non ci si deve innamorare della propria tesi andando anche contro l'evidenza. Questa è la lezione di oggi.                                            

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