domenica 31 maggio 2020

IL PERCORSO DI STEFANO MELE

Non so voi, ma io ho sempre trovato difficoltà nel recarmi sulla Scena del Crimine del 1968, non a partire da Roma, bensì da Piazza Michelacci, dove si trovava l'omonimo cinema. Quindi dalla stessa Signa.


Cliccare sulle immagini per ingrandirle.

Provate, se non siete del posto, a spostarvi da questo cinema al luogo dove è avvenuto l'omicidio. Potete usare anche il navigatore se volete, rischiate di smarrirvi ugualmente.
Ecco il percorso fatto dalle vittime quella dannata notte del 22 agosto 1968.


Le vittime sono partite dal Cinema Michelacci per portarsi alla SdC, nei pressi di Villa Castelletti, passando dal Cimitero.
In linea d'aria sembra facile. I tre punti sono quasi allineati sulla medesima retta.
Ma entriamo nel dettaglio.
Lasciate perdere l'immagine sopra, e concentratevi sulle quattro sotto.
Ora voi siete in Piazza Michelacci, o nei pressi di essa. Quale direzione prendereste per andare a Villa Castelletti?







Osservate la bussola. Le immagini sono orientate diversamente. Voi siete dov'è il segnaposto rosso. Per dove dovete andare per recarvi verso il cimitero? Avete una visione dell'alto. Quindi siete anche agevolati. Ma sapete orientarvi?
Entriamo più nel dettaglio.


Vi trovate al centro di questa piazza,  o in un zona ad essa vicina. Per andare a Villa Castelletti, che strada prendereste? Ricordatevi che voi non ci siete mai stati prima, se non durante la notte, in macchina, con uno che guidava. Voi non avete la patente. Siccome siete completamente alla cieca, vi indico la direzione. Nord/Ovest. Ma poi? 
Ecco la soluzione.


Dividiamo questo percorso in due, dal cinema al cimitero, e dal cimitero al SdC.
Questo primo tratto è abbastanza complicato, ne converrete. Se lo avete fatto una sola volta e per di più di notte, fosse anche che qualcuno vi abbia accompagnati a piedi, rifacendolo di giorno dopo sareste in grado di ripeterlo?


Il secondo tratto, invece è piuttosto semplice. Dal cimitero proseguite dritti e siete sulla SdC. Anche se lo avete fatto di notte, il giorno dopo dovreste essere in grado di ripercorrerlo.
Dal cimitero in poi, non vi potete sbagliare.

Ora, sapete tutti che il primo accusato di questo omicidio fu Stefano Mele, il quale confessò l'omicidio. Stefano, non guidava, non aveva la patente, non sapeva nemmeno andare in motorino. Il suo unico mezzo di locomozione era la bicicletta.
Il 23 agosto, Stefano viene formalmente accusato dell'omicidio della moglie. Nel pomeriggio di quel giorno fanno un esperimento: i carabinieri portano Mele in Piazza Michelacci e gli dicono di fare il percorso dal cinema alla SdC. Tale itinerario verrà fatto a piedi. L'esperimento riesce, Mele porta i militi sul luogo del delitto. 
La prima cosa che viene da pensare è che Stefano conosce i luoghi. Lui vive a Lastra a Signa, a pochi minuti da Signa. La mattina del 22 agosto gli comunicano che la moglie è stata uccisa. Presumo che gli dicano anche dove, presso Villa Castelletti. Lui sa come arrivare dal cinema a Villa Castelletti.
Ora, se Stefano conosce questa Villa e sa come arrivarci, questo esperimento che senso ha? Se a me dicono di andare dalla Stazione di Pisa a Piazza dei Miracoli ci so arrivare benissimo. Non ha senso farmi fare questo esperimento. La cosa assume un altro significato se lui non è mai stato a Villa Castelletti e imbrocca la strada. 
Bene. Diciamo che lui c'è stato solo la notte del delitto. Cioè nella notte fra il 21 e il 22. Fra il 22 e il 23 lui non si reca sul posto. Quindi non fa il percorso una seconda volta e può memorizzarlo. In conclusione, egli guida i carabinieri sulla SdC nel pomeriggio del 23 avendo fatto questo percorso una sola volta, di notte, in macchina quale passeggero.
Ora, quest'uomo deve avere un grande senso dell'orientamento, poiché come abbiamo detto e ribadiamo, sulla SdC c'è stato solo una volta, di notte, e non guidava neppure lui. Eppure, nemmeno 24 ore dopo riesce a fare il percorso, di giorno, a piedi.
Allora, facciamo così. La prima volta che andate a Signa a vedere il percorso delle vittime fatevi accompagnare in pieno giorno da qualcuno in macchina dal cinema a Villa Castelletti. Poi, sempre sotto un sole sfavillante, e pochi minuti dopo, cercate di fare il medesimo percorso da soli a piedi. Scommetto 1 contro 10 che non ci riuscirete. 
A questo punto sarete costretti a farvi accompagnare perlomeno fino al cimitero. da lì saprete giungere al teatro del crimine? Sicuramente sì, ma non è neppure sicurissimo. Però, insomma, basta andare sempre diritto.

LE PERPLESSITA' DEL DOTTOR CANESSA.
Al processo Pacciani, il PM, Dottor Paolo Canessa - che non sembra credere minimamente che Mele sia mai stato sulla scena del crimine - appare perplesso quando interroga Olinto dell'Amico. Ma chi è costui? Vediamolo dal processo Pacciani. E' il 22 aprile del 1994.

P.M.: Colonnello, può spiegare alla Corte quale è la sua attuale professione e qual è la sua professione nell'agosto del 1968? Se aveva qualche incarico, come mai?
O.D.A.: Attualmente sono Colonnello dei Carabinieri in ausiliaria. Fino a poco fa ero in servizio a Massa. Nel ’68 comandavo la sezione operativa del gruppo Carabinieri di Firenze, dalla quale dipendevano, fra gli altri reparti, nucleo investigativo che si interessò delle indagini.

Ora fate attenzione a questa parte dell'interrogatorio

O.D.A.: Il Mele ad un certo punto aveva praticamente, si era confessato autore dell'omicidio.
P.M.: Mi scusi, la prima domanda è questa: a questo verbale di interrogatorio in cui il signor Stefano Mele confessa, lei era presente?
O.D.A.: Penso proprio di sì.
P.M.: Cioè lei davanti ai suoi occhi, nella sua mente, il Mele che confessa non ce l'ha presente?
O.D.A.: Io ci ho, ecco adesso io ci ho presente questo: quando andammo sul posto, sul posto del coso... quando il Mele ci accompagnò sul posto del...
P.M.: Scusi, ecco allora questo lo deve spiegare alla Corte. Lo accompagnò ovviamente in un'epoca successiva...
O.D.A.: Non fu, no.
P.M.: ... rispetto a quella mattina in cui lei ci andò insieme al magistrato, bene?
O.D.A.: Sì.
P.M.: Di questo sopralluogo fatto con il Mele si parla solo incidentalmente in un rapporto. Quindi di quel verbale di sopralluogo con il Mele c'è solo traccia nel rapporto. Per ora la Corte non ha questi atti, vedremo se sia il caso di versarli, se le parti non hanno niente in contrario. Però forse il modo per ricostruirlo, il suo ricordo è il migliore. Allora diciamo, a noi manca in questo momento questo sopralluogo fatto col Mele: quando lo avete fatto e quali sono i punti salienti fra sopralluogo e confessione?
O.D.A.: Mah, il punto saliente è questo. Che praticamente noi arrivammo in compagnia del Mele, e si arrivò quasi vicino al cimitero di Signa. Lì vicino mi ricordo che c'era anche uno spiazzo dove furono parcheggiate le macchine, credo che fosse un parco di una villa eccetera. Poi ci avviammo a piedi, scendemmo. Ricordo perfettamente questo, come se fosse adesso, è una delle poche cose di cui ho un ricordo nitido, è questo: che a un certo punto i militari, come al solito, i militari camminavano avanti a noi, camminava. Il Mele...
P.M.: Mele era con lei?
O.D.A.: Come?
P.M.: Mele era con lei invece?
O.D.A.: Sì, stava vicino a me, camminava davanti.
P.M.: Mi scusi, è il Mele che vi deve guidare, e invece davanti ci sono i Carabinieri?
O.D.A.: No, io gli dissi, io li feci fermare, gli dissi: mettetevi dietro, state dietro a noi. E dissi al Mele: “Lei vada avanti perché ci deve portare lei, non dobbiamo essere noi a portare...”
P.M.: In che punto di strada siete quando fa questo discorso, lo ricorda?
O.D.A.: Questo, siamo dopo il cimitero.
P.M.: Dopo il cimitero, però il cimitero rispetto al luogo dove fu rinvenuta la macchina quanto tempo, quanto spazio..?
O.D.A.: C'è un pezzo, certo.
P.M.: C'è un bel pezzo.
O.D.A.: C'è un bel pezzo, c'è un pezzetto insomma.

Capito? Dal cinema al cimitero ce lo accompagnano, nel senso che i carabinieri vanno avanti e Mele li segue. Dal cimitero in poi, si accorgono dell'errore, e Mele va avanti e i carabinieri dietro. Quindi la parte più difficile del percorso Mele praticamente  non la fa. 
Ma aspettate. Non è finita. Dopo una digressione su altri argomenti, Canessa ritorna sul punto.

P.M.: Ecco, c'è un verbale. Io vorrei vedere, perché sul punto è importante, io vorrei fornire alla Corte, Presidente, il verbale di quell'interrogatorio che ha reso il teste - atto di altro procedimento utilizzabile - e vorrei far ricordare meglio al teste se in Corte di Assise, essendo la sua deposizione del 18 marzo, se non leggo male, del ‘70, cioè era molto più vicina come fatti, se lei su questo sopralluogo di Stefano Mele con i Carabinieri, sul fatto che vi portava lui, o che voi, i Carabinieri andavano un po' avanti, ebbe qualche ricordo più preciso. Se non ce l'ha...
O.D.A.: Se me lo fa leggere.
P.M.: Glielo leggo io. Allora, lei dice... “Prima di portarci sul posto giusto - è la domanda che viene fatta e risponde il Colonnello Dell’Amico - prima di portarci, prima che ci portasse Stefano sul posto giusto, il Mele aveva imboccato"- è scritto a mano - ...
O.D.A.: Sì.
P.M.: “... altra strada che si diparte dal centro del paese, che però ci condusse ad una villa privata - dice lei, rispondendo alla Corte di Assise - la cui uscita verso la strada del cimitero era preclusa da un cancello chiuso. Tornammo indietro e il Mele ci portò poi sul posto.”
O.D.A.: Esatto.
P.M.: Cioè, allora, questo forse non l'aveva ricordato prima, sembra che il primo, questo Mele che vi portava sul posto, a dir la verità, imboccò una strada diversa e vi portò in un posto chiuso. Lo ricorda ora?
O.D.A.: Sì, sì. Mah, andammo tutti insieme lì, ho l'impressione, che ci andammo, ci arrivammo un po' tutti assieme. Sì, comunque...
P.M.: Cioè sbagliate voi, e faceste sbagliare lui?
O.D.A.: Ricordo, no, ricordo perfettamente che ci fu questo, che ebbe questo... si, è esatto.
P.M.: Quindi lui, il giorno dopo, che sembra fosse 23...
O.D.A.: 23.
P.M.: Fu fatto fra il 21 e il 22...
O.D.A.: Il 23.
P.M.: ... è talmente sicuro di quel posto, quella ricostruzione che vi porta nel posto sbagliato - lo dice lei Colonnello - addirittura in una strada che lei dice: “verso la strada del cimitero era preclusa da un cancello chiuso”. Lo dice lei alla Corte, lo ricorda questo?
O.D.A.: Sì. Ricordo praticamente che ci fu questo...
P.M.: Che allora non vi portò subito nel posto giusto.
O.D.A.: Subito no, ci fu questo...
P.M.: Ecco, è importante, mi sembra, eh?
O.D.A.: Sì.
P.M.: Allora quel fatto che dicevo... ora ricorda se dal paese c'erano due strade sole? Cioè una che portava alla villa e una che portava, come sembra dal verbale, una che portava al posto dov'era Mele, dove era avvenuto l'omicidio?
O.D.A.: Ma non so che... per andare su quel posto...
P.M.: Lo so. Le ricordo... La mia domanda è questa, cioè: “la prima la sbagliò - lei ne dà atto - la seconda la azzeccò”. Le chiedo io: perché era l'unica altra alternativa, o la scelse fra altre 10 possibilità?
O.D.A.: Non ricordo se c'erano...
P.M.: Lo vediamo subito.
O.D.A.: ... altre strade traverse che portavano lì. Questo non lo so, non lo posso dire.
P.M.: Non ricorda se c'erano più d'una.
O.D.A.: Altre strade che portavano sul posto.
P.M.: Allora io le leggo la domanda successiva. A domanda: “Lo sbaglio era facile perché entrambe le strade o le piazze partivano dalla piazza”, è mal verbalizzato. Entrambe le strade partivano dalla piazza. Cioè...
O.D.A.: Dalla piazza del paese. Dalla piazza di Signa.
P.M.: Cioè, sembra di dover leggere: le strade partivano dalla piazza. Cioè la mia domanda è questa: da come lei spiegò allora, sembra che la seconda volta azzeccò perché era l'unica ulteriore alternativa che c'era. Poi se è necessario, la Corte lo andrà a vedere. Ma sembra, da questa verbalizzazione, dal suo ricordo di allora, che la prima secca la sbagliò, la seconda l’azzeccò perché c'era quell'altra e basta.
O.D.A.: Non ricordo se c'erano...
P.M.: Non lo ricorda.
O.D.A.: ... se si poteva giungere sul posto anche da altre vie non lo ricordo.
P.M.: Però la seconda che lui prese era l'unica ulteriore alternativa. Così lei dice alla Corte, io chiedo se se lo ricorda meglio.
O.D.A.: No, no

Pare tutto un po' confuso. Inizialmente Dell'Amico sostiene che i carabinieri erano avanti e Mele dietro fino al cimitero. Poi, sembra che Mele abbia cominciato il percorso dal centro del paese, li porta in una parte sbagliata e allora - sembrerebbe - che i carabinieri non si fidino e vanno avanti loro fino al cimitero. Da lì in poi tocca a Stefano arrivare sul posto.
Come fa Mele a sapere il punto esatto? L'omicidio è avvenuto meno di 24 ore prima. La gente vede questo esperimento. la gente sa dove è avvenuto il fatto. La gente è affollata lì. Un testimone oculare mi raccontò di avere assistito a questo sopralluogo. Era un ragazzino. E' stato lui a portarmi per la prima volta sul luogo e del crimine insieme a un ispettore di polizia che mi accompagnava. 
Raccontò la simulazione che fece Stefano Si ricordava che zoppicava (Mele aveva avuto l'incidente a febbraio, ma questo, il ragazzo non poteva saperlo, lo sappiamo noi oggi). Era praticamente sul ponte, questo giovane testimone. E c'era una marea di gente!

Terminiamo con il rapporto Torrisi. Altro esperimento.

Il 19 giugno 1985, verso le ore 20,45, il dott. Mario ROTELLA, G.I., il dott. Adolfo IZZO, Sost. Proc., lo scrivente e personale dipendente, con l'assistenza dell'avvocato di fiducia, conducono MELE Stefano in località Castelletti di Signa, allo scopo di verificare se il suddetto conosca esattamente il percorso che avrebbe fatto nell'accompagnare il bambino dall'autovettura alla casa colonica. Giunti sul posto, l'imputato descrive brevemente le modalità di esecuzione del duplice omicidio e simulando l'atteggiamento di persona che lui sostiene di essere Salvatore VINCI, introduce il braccio come se fosse armato, attraverso il finestrino anteriore sinistro, dentro un'autovettura posta nel medesimo sito. Egli, quindi, passa a descrivere le fasi successive, secondo le precedenti versioni e precisa che, nel momento in cui sta riassettando i cadaveri, è riconosciuto dal figlio Natalino, per cui si sarebbe allontanato, ritornando subito dopo per riprenderlo ed accompagnarlo in altro luogo, essendosi pure allontanate le altre persone presenti al fatto. Dopo altri indugi, invitato a mostrare il percorso, a suo dire fatto da solo dopo il delitto, portando il figlio un po' a cavalluccio, un po' per mano, si incammina a passo spedito. Percorsi circa 400 metri, si ferma ad un incrocio fra due strade campestri; invitato a proseguire, manifesta incertezza e non è in grado di risolversi e finalmente decide di andare avanti. La stessa scena si ripete un centinaio di metri più avanti; dopo molte titubanze è invitato a proseguire ed il difensore rimarca che la scelta non è dell'imputato. Percorsi circa un chilometro e 200 metri, si perviene ad un ponte ove la strada confluisce su un'altra, trasversalmente, ed ivi l'imputato manifesta il massimo momento di incertezza, non sapendo quale direzione intraprendere. È da notare che proprio da questo punto, in fondo sulla sinistra, si intravede da lontano la luce della casa colonica, posta sulla via Pistoiese, ove il figlio si è recato; particolare che lo stesso Natalino, ora da grande, nel corso della ricognizione del 26 febbraio 1985, dimostra di ricordare perfettamente (Nota mia: Natalino ricorda il percorso a distanza di anni, pur essendo all'epoca un bambino. Mele no.  Di Natalino sapevano per certo che quell'itinerario lo aveva fatto, riguardo a Stefano c'erano dei dubbi. di casa di De Felice, eppure non la riconosce). Il MELE, quindi, viene invitato a proseguire sulla sinistra, (Attenzione, viene invitato ad andare a sinistra)  ed incontrando, ad un centinaio di metri dalla via Pistoiese, una casa colonica sulla destra, con una lampada esterna (ovvero la casa De Felice), si ferma, la guarda e poi prosegue. Percorse poche decine di metri, ancora, indica, dopo un po', girandosi intorno, un gruppo di case, site sulla strada asfaltata, dicendo testualmente: "Forse è qui che ho lasciato il bambino, dove poteva suonare il campanello. Mi pare che lì ci arrivasse, infatti mi sono accertato che ci arriva". Il MELE, infine, invitato a chiarire definitivamente se ha effettuato quel percorso la notte dell'omicidio o se invece non ricordi, insiste nel ripetere di essere stato lui da solo ad accompagnare il bambino, di aver fatto il percorso nel modo giusto, ma che non ha del tutto un ricordo chiaro.

Quindi, nel secondo esperimento, con un avvocato di fiducia il quale rimarca, quindi vuol dire che già ha protestato in precedenza, che il percorso non è stato scelto dal Mele, l'esperimento fallisce.

Più in là, ecco cosa scrive Torrisi nel suo rapporto:

È il caso di evidenziare in proposito, che il 19.6.1985, la sera prima che il MELE venisse tradotto in carcere, durante un giro di ispezione al detenuto, fattogli rilevare di aver dato a tutti la netta sensazione, con il suo atteggiamento di non conoscere per niente quel percorso e che quindi egli non ha potuto accompagnare il bambino, egli riferisce allo scrivente: "La verità è che io in quel posto, la prima volta che ci sono andato è proprio quella sera che mi avete portato voi!".

Da notare che Mele non fa alcun accenno al fatto che avrebbe lasciato il bambino al ponticino, asserisce bensì di essere arrivato sino a casa De Felice e averlo lasciato lì. Insomma, Mele pare non sappia un bel nulla di questa faccenda. 

CONCLUSIONI
Aver fatto fare il percorso a Stefano Mele il pomeriggio del 23 è stato un esperimento senza senso. Perché se Stefano conosceva già il percorso, ovvio che lo avrebbe saputo replicare. Se Stefano non aveva mai fatto il percorso se non la notte del delitto, era impossibile che potesse accompagnarli sino a Villa Castelletti. Come sarebbe stato impossibile per chiunque. L'aver dato per positivo tale esperimento dimostra solo che Mele era in balia degli inquirenti. Se possiamo mettere in dubbio la bontà di questo sopralluogo, possiamo mettere in dubbio tutto quello che Mele ha dichiarato, poiché c'è un difetto di fondo: Stefano è stato considerato colpevole 24 ore dopo il delitto. Forse, se invece di cercare a tutti i costi prove contro di lui avessero provato prima a verificare la propria ipotesi, ovvero, accertarsi che Stefano fosse rimasto veramente a casa, cercare impronte digitali sulla macchina, mettere in dubbio le procedure che stavano adottando... questa storia avrebbe avuto un altro percorso, e il caso di dirlo. Forse Stefania Pettini non sarebbe morta. Oppure, non sarebbero morti i ragazzi dal 1981 in poi, perché già dal secondo delitto, avendolo collegato fin da subito a quello del 1968, avrebbero cercato un maniaco omicida. Questo assassino avrebbe avuto gli investigatori alle calcagne sette anni prima dell'escalation. Fissarsi con il Mele ha fatto solo perdere sei anni di indagini - dal 1968 al 1974 - e altri otto dal 1974 al 1982. Dal 1982 in poi, persistendo nell'errore di credere alle false confessioni di Stefano, sono andati completamente fuori binario e l'assassino delle coppiette ha continuato tranquillamente a uccidere. Finché si è reso conto, con l'avvento di Canessa, De Fazio nonché della SAM, che la pista indicata da Stefano Mele era stata abbandonata. A questo punto, anche lui ha abbandonato. È stato abbastanza intelligente da capire che era venuto il momento di ritirarsi.


sabato 18 aprile 2020


LA FALSA CONFESSIONE DI STEFANO MELE

Ho deciso di dedicarmi a una ricerca approfondita sulle false confessioni. Purtroppo non c’è molto materiale in italiano, pare che non ci siano studiosi di questa materia nel nostro Paese. Ma ce ne sono diversi negli Stati Uniti. Provvederò a farmi una cultura nei giorni (o mesi, o anni) a seguire.

Proviamo adesso ad analizzare il caso di Stefano Mele il quale si autoaccusa del delitto della moglie avvenuto il 22 agosto 1968 a Castelletti di Signa. 

Stefano Mele sulla Scena del crimine. Diverse false confessioni sono state confermate portando i sospettati sulle SdC. Ricordiamo che Stefano  quando venne invitato a simulare la dinamica non aveva nessun avvocato difensore al suo fianco. Stefano arrivò sulla sterrato dell'omicidio pare senza suggerimenti. Ma ricordiamo che quando nel 1985 tentarono di fargli rifare il percorso dalla SdC a casa De Felice, non replicò il tragitto. In quel caso c'era un avvocato difensore che impedì i suggerimenti che venivano dai carabinieri. Troviamo questo episodio descritto nel rapporto Torrisi.
La pistola con la quale verranno uccisi i due amanti risulterà essere la medesima utilizzata negli anni a seguire dal Mostro di Firenze.

Barbara Locci 32 anni, e Antonino Lo Bianco 29 anni
Anche le munizioni saranno dello stesso tipo, un lotto di Whincester con il simbolo H sul fondello prodotte intorno al 1966.

La Beretta Calibro .22 a canna lunga utilizzata dal Mostro.

Z accusa A
Z accusa B
Z accusa C

Da cosa potremmo stabilire che Z sta rilasciando una falsa confessione? Semplicemente dal fatto che quando Z accusa qualcuno la polizia cerca poi di suffragare questa accusa con delle indagini ulteriori.
Vediamo cosa succede.

Z inizia con l’accusare A.
La polizia si reca subito da A
A produce un alibi. 
La polizia verifica l’alibi di A tramite D
D conferma l’alibi di A.
La polizia si reca da Z e gli dice che A ha un alibi confermato anche da D.

Davanti a questa evidenza Z cambia soggetto. Adesso accusa B
Viene eseguito il guanto di paraffina sia su B che su C. Quest’ultimo non ancora accusato da Z
B risulterà negativo per il guanto di paraffina. Invece risulta fortemente positivo C.


A Z viene comunicato che B è risultato negativo al guanto di paraffina. Ma gli viene anche detto che C è risultato fortemente positivo.
Z prende nota che B è risultato negativo. Ma prende anche nota che C è risultato fortemente positivo.
Z lascia cadere l’accusa contro B e inizia ad accusa C.

In questa sede non ha importanza sapere se il vero colpevole fosse A, B oppure C. Quello che ci interessa è il coinvolgimento di Z il quale ha confessato la sua partecipazione al delitto.

Vediamo che il comportamento di Z è influenzato dalle informazioni che riceve dagli investigatori.
Quando Z apprende che A ha un alibi confermato non può continuare ad accusarlo. Il fatto che l’alibi di A potesse essere menzognero e che D gli abbia potuto procurare involontariamente una pezza d’appoggio non è rilevante ai fini della bontà delle affermazioni di Z. Quello che è rilevante è che Z abbia dato per buono l’alibi di A. Se A e Z erano coinvolti nel delitto, Z avrebbe saputo come smontare l’alibi di A. Ma questo non lo fa perché crede all'alibi di A, e ci crede perché gli investigatori ci credono. Se gli investigatori hanno commesso un errore, questo errore ha influenzato il comportamento di Z che è passato ad accusare B.

Poniamo che B sapesse come far risultare negativo la prova del guanto di paraffina. Per le dichiarazioni di Z questo non è rilevante. Z crede al risultato dell'esame del guanto perché la polizia ci crede. Ma se B è stato complice di Z nell'omicidio, Z potrà dimostrare il suo coinvolgimento anche se  B è risultato negativo alla prova. 

A questo punto Z passa ad accusare C perché C è risultato positivo a tale prova e Z questo lo sa. Ma anche C risulterà avere un alibi di ferro per cui Z rimane l’unico colpevole.

Qui però si pone un bel quesito, se Z è l’unico colpevole perché accusa prima A, poi B e infine C? Sta comunque mentendo nel coinvolgere queste persone se non c'entrano nulla. 
Allora il quesito è il seguente: o Z è l’unico colpevole o ci troviamo di fronte a una clamorosa falsa confessione o Z sta coprendo un misterioso terzo individuo.

Le false confessioni sappiamo essere pilotate dai suggerimenti degli investigatori. Questo ne sarebbe un caso lampante. A ogni suggerimento della polizia Z, come abbiamo visto, cambia il nome del suo probabile complice.

Ricordiamo che Z si dichiarerà estraneo ai fatti sia al suo processo nel 1970, sia quando il giudice Rotella lo ripescherà nel 1982, sia quando a sua insaputa verrà registrato un dialogo avvenuto in un incontro con il figlio nel gennaio 1986. 

lunedì 10 febbraio 2020

Schema Torrisi - Parte terza

OMICIDIO BARBARINA STERI 14 GENNAIO 1960

La foto non ritrae un caso reale

Il rapporto Torrisi descrive Salvatore Vinci come un abile manipolatore, talmente abile da indurre i cognati e il fratello di Stefano Mele ad associarsi al delitto da lui concepito ai danni della coppia Locci-Lo Bianco. Come abbiamo detto, Piero Mucciarini e Marcello Chiaramonti hanno sposato le sorelle di Stefano. Sono ambedue toscani, nati nella provincia di Siena, dunque non appartengono alla cultura sarda (per alcuni una cultura che affonda le radici nel Basso Medioevo dove è concepibile programmare un omicidio in famiglia per disfarsi di una donna che disonora il casato). Sottolineiamo il fatto che i due risultano cognati del Mele non perché questi abbia spostato una qualche loro sorella. Bensì, il contrario. La cosa cambia completamente aspetto. Infatti, se Stefano fosse stato il marito della sorella di uno di loro la parentela sarebbe stata un po' più stretta poiché la prole da loro concepita avrebbe portato nelle vene parte del loro sangue. Ma Barbara Locci non ha nessun rapporto di parentela né con Chiaramonti né con Mucciarini. Quindi, Natalino, concepito da Stefano e Barbara è sì, loro nipote, ma non di sangue.
Altro discorso per Giovanni Mele. Lui sì che avrebbe potuto trovare un qualche interesse nella morte della Locci per liberare il fratello dai molteplici tradimenti di lei. In questo caso Natalino è nipote di sangue di Giovanni. Perché mai Piero e Marcello avrebbero dovuto avere il medesino interesse di Giovanni? Quello che vogliamo dire è che Salvatore avrebbe anche potuto convincere Giovanni Mele a liberarsi della cognata. Ma non vediamo come avrebbe fatto a convincere gli altri due.

La capacità di persuasione di Salvatore, secondo Torrisi, ha un precedente nella morte della prima moglie: Barbarina Steri, trovata esanime sul pavimento della camera da letto il 14 gennaio 1960. La poverina aveva solo 19 anni. La ragazza sarebbe stata uccisa da Salvatore con il contributo del fratello e del padre di lei. Sì, avete capito bene, il papà di Barbarina e suo fratello avrebbero aiutato Salvatore a disfarsi della moglie. Probabilmente è in questo episodio che molti 'mostrologi' vedono la cultura sarda alla stregua di quella del Barone Cesare Lanza di Carini che ammazzò la propria figlia perché infedele al marito.


Del caso Steri ne parla molto bene Antonio Segnini nel suo blog, al quale rimandiamo.


In questa sede non intendiamo affrontare il caso Steri per risolvere la questione se Salvatore Vinci sia o no l'assassino della moglie. Lo diamo per certo, come per certo lo dà il Colonnello Torrisi. La sua analisi è molto convincete e noi la diamo per buona. Diamo anche per certo che padre e fratello di Barbarina fossero suoi complici. 
L'assunto è il seguente: se Salvatore è stato capace di convincere il padre e il fratello di Barbara a sopprimere la loro congiunta vuoi che non abbia convinto i Mele a uccidere l'altra Barbara che, in fin dei conti, non era neppura una congiunta?
L'analisi del delitto Steri, però, non conduce necessariamente a pensare che Barbara sia morta per premeditazione. Salvatore avrebbe potuto anche aver ucciso la moglie preterintezionalmente, ovvero senza volontà. Un incidente, oppure in un impeto d'ira. La cosa interessante è che i due Salvatori (anche il fratello di Barbara Steri si chiamava Salvatore) avevano un alibi, erano in un bar a quell'ora. Il gestore conferma la loro presenza. Ma sorvoliamo su questo.
Chiameremo, per comodità Salvatore Vinci A e Salvatore Steri B.
Come avrebbe fatto A a convincere B a uccidere la propria sorella? Forse non lo ha convinto a ucciderla ma soltanto a coprire il suo omicidio. I due avevano una relazione omosessuale (un'illazione, non sappiamo se vera, ma diamola per vera). 
A ricatta B che se non lo copre svelerà a tutti la loro relazione.  
B, capitola. 
B non solo capitola, ma coinvolge il padre in questo ricatto. Il padre preferisce  nascondere l'omicidio della figlia piuttosto che rendere pubblica l'omosessualità del figlio. Altri tempi. 

I tempi trascorsi sono un'altra punta di diamante dei sostenitori della congiura ai danni dellla Locci. Nel 1968 era normale uccidere le cognate libertine. Infatti, le cronache ne son piene. Quando io avevo sei anni (sono nato nel 1962) ricordo benissimo le stragi di donne dissolute. Io sono calabrese, quindi di una cultura primitiva uguale a quella sarda dell'epoca. Facevamo confusione fra il 1968 d.C e il 1968 a. C. 

Dando per buoni tutti questi assunti: anni '60 famiglie chiuse e  focose, cultura sarda votata alla soppressione delle coniughe fedifraghe, vergogna nell'espimere la propria omosessualità fino alla sottomissione, cosa accomuna il delitto Steri al delitto Locci? Se tutte queste verità hanno contribuito al delitto di Barbarina Steri, come hanno potuto contribuire anche a quello di Barbara Locci? 
Un rapporto omosessuale esisteva anche in questo caso: Stefano Mele e il solito Salvatore Vinci. Poniamo ancora una volta che A abbia convinto con il ricatto dell'omossessualità Mele a sopprimere la moglie, Come avrebbe  A convinto anche il resto della famiglia? Lo schema Steri non si può adattare allo schema Locci. Mucciarini e Chiramonti non sono il fratello e il padre di Stefano. Se costui è omosessuale, e i suoi cognati ne  vengono a conoscenza, cosa gliene frega loro se la cosa si viene a sapere? 
Salvatore può aver convinto Mele a partecipare ricattandolo. Ma deve aver convinto gli altri in altra maniera. Come?
Secondo i salvatoristi, Mucciarini aveva un precedente penale. Quindi era anche lui ricattabile. Ma non da Salvatore, bensì dal Clan Mele, il quale, una volta deciso di uccidere Locci, hanno imposto al fornaio di partecipare. Non si capisce, però, quale ricatto possa subire uno che ha un precedente penale, fosse pure il peggiore di questo mondo (e Mucciarini aveva solo un precedente per rapina quando era un ragazzo). Il precedente penale è qualcosa che uno ha già scontato. Dove sarebbe il ricatto? In ogni caso, volendo pure soddisfare questa linea di pensiero, la prospettiva di farsi lunghi anni di galera per la partecipazione a un duplice omicidio a quale terribile ricatto potrebbe soggiacere? Insomma, le conseguenze del ricatto dovrebbero essere peggiori dell'ergastolo. 
In ogni caso, i moventi stanno subendo delle trasformazioni: Stefano Mele non agisce più perché stanco dei tradimenti. Ma su istigazione di Salvatore. I suoi cognati non agiscono più per difendere l'onore della famiglia, bensì per non subire un ricatto.  
Ritorniamo però ancora una volta ai Salvatori A e B
I due hanno un rapporto di lunga data e, se veramente amanti, anche intimo. Dunque, in linea teorica potrebbe B aver soggiaciuto alla volontà di A
Si è fatto l'esempio della famiglia Manson. I suoi adepti hanno ucciso a Cielo Drive solo perché Manson glielo ha chiesto. Dunque Manson era talmente manipolatore che ha indotto altri a uccidere per lui.


Il reverendoJim Jones è riuscito a convincere 600 persone a suicidarsi. 



Allora perché Salvatore Vinci non può aver convinto la famiglia Mele a partecipare al duplice omicidio di Signa?
Gli esempi non calzano. Nel caso Manson, i suoi adepti erano sottomessi dalla droga. Le donne avevano rapporti sessuali con lui. Erano giovani sbandati che lui accolse nella sua famiglia. Dormivano insieme, mangiavano insieme, fornicavano insieme. 
Nel caso Jim Jones, la sottomissione era di tipo religioso. Si trattava di una setta. In questo caso il suicidio di massa è stato aiutato da guardie armate che costringevano a  bere la bevanda a base di cianuro. Ma seppure lo avessero fatto tutti volontariamente, anche in questo caso c'era un rapporto giornaliero: dormivano, mangiavano e fornicavano insieme.
Nel caso di Salvatore Vinci, come poteva la sua psicopatia (tutta da dimostrare) influenzare la famiglia dei Mele? In base a cosa questa famiglia avrebbe dovuto accondiscendere a suoi voleri criminali? i Mele non avevano un buona opinione dei Vinci. Quindi, lo psicopatico già partiva svantaggiato.
In conclusione, Salvatore potrebbe al limite aver convinto Stefano a partecipare al delitto. perché con lui mangiava, dormiva e fornicava. Poniamo che avesse potuto convincere anche Giovanni Mele. Ma per il resto della famiglia non riusciamo a trovare nessun motivo.
Salvatore Vinci viene descritto dai salvatoristi quasi come un Totò Riina. In verità, il vero duro era Francesco. Infatti è di lui che la familgia Mele aveva veramente paura. Eppure, avrebbero deciso di metterselo contro nel momento in cui decidono di uccidere Barbara con la complicità di Salvatore per poi dare la colpa a Francesco.

Il rapporto Torrisi costruisce il carisma demoniaco di Salvatore sul delitto Barbara Steri. Un delitto che probabilmente non è mai avvenuto. Quindi su un presupposto inesistente. Ma seppure esistente, del tutto improponibile in un contesto completamente diverso. 
Per poter funzionare lo schema Torrisi bisogna necessariamente dotare Salvatore di superpoteri di ordine psicologico.
In ogni caso, seppure tutto questo fosse vero, l'analisi dell'omicidio ci dimostrerà che mai Salvatore Vinci poteva aver commesso questo delitto, fosse pure stato da solo, con Stefano Mele o con tutta la sacra famiglia. A meno di non dotarlo di ulteriori superpoteri, come vedremo nelle prossime conversazioni.


domenica 9 febbraio 2020

Schema Torrisi - Parte seconda


IL MOVENTE


Diceva Aristotele nella Poetica che un soggetto letterario non deve necessariamente essere vero ma verosimile. Il rapporto Torrisi non è un romanzo ma un rapporto giudiziario per cui si dovrebbe attenere al vero. Ma se lo trattassimo come un racconto sarebbe verosimile? Certo, in criminologia si leggono cose che uno non reputerebbe mai vere. Eppure, vere sono. E' proprio di ieri la notizia di due madri arrestate perché abusavano delle rispettive figlie per compiacere il loro perverso partner, un uomo di 40 anni. Addirittura, una delle due avrebbe concepito la figlia al solo scopo di soddisfare le fantasie sessuali dell'uomo. Fantasie da lei medesima condivise. 



(Per inciso. Non sono mai stato favorevole alla pena di morte. Né mai lo sarò. Tuttavia, se il Signoruzzo (come dicono in Sicilia) dicesse: "Vi ho inviato la Sacra Corona Virus perché siete troppi e mi state rovinando il Pianeta, cosa volete fare, lasciamo scegliere al caso oppure avete una lista?". Beh... dei nomi li proporrei, e questi pedofili sarebbero nell'elenco).

Se degli esseri umani pensano di mettere in produzione dei figli per soddisfare le proprie perversioni sessuali, non è poi così fantastico pensare che un soggetto estraneo ad un nucleo familiare lo plagi al punto tale da fargli fare quello che vuole. Mi riferisco ovviamente a Salvatore Vinci che chiede alla famiglia Mele di uccidere Barbara Locci. In linea teorica ciò è possibile. Ma in pratica?

Se chiedete a un salvatorista perché i familiari di Stefano Mele partecipano al delitto della moglie, la risposta sarà perché dava scandalo, spendeva tutto quello che guadagnava il marito con i propri amanti, non se ne poteva più. Che poi è quello che dice Torrisi.

Prendiamo per buono, per un attimo, questo movente. I Mele decidono di liberarsi di Barbara perché infanga il buon nome della famiglia. Ci sarebbe da chiedersi un mucchio di cose. I due sono sposati da quasi dieci anni e Barbara fin da subito ha manifestato una certa libertà sessuale. 
Domanda: Perché proprio adesso? 
Risposta: Appunto, oramai il vaso era colmo.

Va bene, accettiamo questa spiegazione. 
Domanda: Perché uccidere anche Lo Bianco?
Risposta: Ha fatto male ad andare con Barbara!

Voglio attribuire il massimo del cinismo alla famiglia Mele. Fino a questo punto siamo nel verosimile. 
Domanda: A chi è venuta l'idea di farla finita con Barbara perché dava troppo scandalo?
Risposta: A Salvatore Vinci.

Ecco... qui iniziano le perplessità. Posso concedere ai Mele che non sopportavano più la condotta scandalosa di Barbara. Voglio concedere che Salvatore Vinci abbia plagiato Stefano nel suo piano funesto. Ma pensare che ai Mele il movente dell'onore glielo abbia fornito l'amante stesso di Barbara... questo no! Proprio Salvatore Vinci? Quello che si è istallato a casa loro per qualche annetto? quello che portava Barbara alle Cascine per farla accoppiare con altri uomini mentre lui la osservava eccitato? quello che si è preso 150.000 lire da lei e 150.000 lire da lui delle 480.000 lire del premio assicurativo? quello, il cui fratello ha preso il posto a casa loro? In sostanza, mi si vorrebbe far credere che non solo Stefano, ma tutta la famiglia Mele erano oligofrenici senza possibilità di un rimedio. Non solo il fratello di Stefano, le sorelle, la madre e il padre. Ma persino i suoi stessi cognati! 

Insomma, un bel giorno Salvatore Vinci diventa il Buffalmacco della situazione e Piero Mucciarini il suo Calandrino. Sembra più Boccaccio che Torrisi. Ossia, Mucciarini, ascolta le parole di Salvatore Vinci che gli dà lezione sull'onestà, l'onore e la pudicizia. E lo convincerebbe a uccidere Barbara insieme all'ultimo amante, Lo Bianco, per poi dare la colpa del misfatto a suo fratello Francesco.
Quindi io, Piero Mucciarini, o Marcello Chiaramonti, prendo lezioni di stile da un depravato come Salvatore Vinci (posso anche ignorare l'episodio delle Cascine e le 300.000 lire, ma che sia un parassita non può sfuggirmi). Proprio lui mi chiede di salvare l'onore della famiglia quanto lui è il principale protagonista di questo scandalo? E poi cosa pretenderebbe? Che accusassimo il fratello? Quindi io mi devo fidare di uno che manderebbe il fratello in galera per un crimine da lui stesso commesso?
Tutto questo vi sembra verosimile? Neanche come semplice racconto avrebbe credibilità. Ma si è detto che Salvatore Vinci aveva un grande carisma se è vero come è vero che ha ucciso la prima moglie riuscendo a convincere i familiari di lei nell'impresa criminale. Ma è andata veramente così? Il delitto Steri sarà argomento della nostra prossima conversazione.
Il movente dell'onore avrebbe avuto credibilità se quella notte del 1968 i Mele avessero ucciso Barbara Locci insieme a ... Salvatore Vinci! per poi dare la colpa a Francesco Vinci. Ecco, così la trama letteraria reggerebbe. I Mele si liberano una volta per tutte di Barbara e degli ingombranti fratelli Vinci.



sabato 8 febbraio 2020

Schema Torrisi - Parte prima


Schema Torrisi (o il giuoco degli amanti)

LEGENDA: A Barbara Locci; B Salvatore Vinci; C Antonio Lo Bianco; D Francesco Vinci.



PREMESSA
Lo schema Torrisi, elaborato dal Tenente Colonnello comandante del reparto operativo dei carabinieri, Nunziato Torrisi, il 22 aprile 1986 nell'ambito dell'inchiesta sui delitti del Mostro di Firenze, prevede un'amante centrale A attorno alla quale girano altri tre amanti: B, C e D.

Il primo amante B decide di uccidere l'amante A mentre si trova in intimità con il secondo amante C. Dopo averli uccisi, il primo amante B tenterà di incolpare del duplice omicidio il terzo amante D. Da notare che B e D sono fratelli.
Quindi con un colpo solo B si libererà di A, C e D.

Questo schema apparentemente semplice, in realtà è molto complesso. Infatti B per poter portare a termine il suo diabolico piano deve cooptare il marito di A e cercare il consenso, l'appoggio e la complicità materiale dei parenti del marito di A.  Quindi dobbiamo prevedere che B riuscirà a convincere queste persone - che non sono criminali e che non hanno nulla da guadagnare in tale impresa - ad accollarsi il rischio che comporta l'esecuzione di un duplice omicidio: svariati anni di galera, perdita del lavoro, allontanamento dalla famiglia, spese giudiziarie. Tutto questo per assecondare i voleri di B. Attenzione, tutta questa gente sa perfettamente chi sia B e in quali rapporti si trovi con A. Quindi, il marito di A e i suoi familiari sono al corrente che B è un amante storico di A e che dopo averla ammazzata insieme a C vuole far ricadere la colpa su D che, non dimentichiamocelo, è suo fratello! Nello studio del rapporto Torrisi, vedremo come  costoro si imbarcheranno nell'impresa di un delitto altamente grave dal punto di vista penale e morale, perché - lasciando stare la condotta disdicevole di A - il povero C non è che un giovane di 29 anni padre di tre figli. Eppure, questi bravi padri di famiglia, non si faranno nessuno scrupolo nell'ucciderlo creando così la figura di una vedova e di tre orfanelli. 

Insomma, la nefasta influenza di B su tutto il nucleo familiare del marito di A è totale!

In questo schema i sardisti trovano la soluzione del mistero dei delitti del Mostro di Firenze, che altri non sarebbe che B, ovvero Salvatore Vinci.
Ogni sardista/salvatorista adatta poi alla propria visione dei fatti, lo schema Torrisi. Possono cambiare alcune circostanze, alcuni protagonisti, alcuni particolari, ma la sostanza non cambia.
Con tutta la simpatia che possiamo provare per i sardisti, e l'ammirazione che nutriamo per il Ten. Colonnello Torrisi, dobbiamo però rimproverare loro che non hanno mai affrontato analiticamente tale prospettiva. Lo faremo noi per loro e vedremo che, se sottoposto a una critica severa, tale schema non regge